Muoversi 4 2022
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NUOVO GOVERNO, VECCHI PROBLEMI

NUOVO GOVERNO, VECCHI PROBLEMI

di Dario Di Vico

Dario Di Vico

Editorialista Corriere
della Sera e Il Foglio

Alla domanda quanto hanno contato i temi della transizione energetica sull’orientamento degli elettori italiani la prima risposta che viene da dare è lapidaria: poco, molto poco. La coalizione che è risultata vincitrice ha dovuto il suo successo nella buona sostanza a due fattori: a) la forza di una constituency composta da piccoli imprenditori, ceti medi produttivi e operai prevalentemente dislocati nel Nord produttivo che si era palesata con il primo Berlusconi ed è rimasta inespugnata negli anni; b) la possibilità di spendere sul mercato elettorale una leadership nuova e attrattiva come Giorgia Meloni che ha sottratto consensi in larga misura ad altri partiti della stessa coalizione. Ma né la constituency di cui sopra né la leader di Fratelli d’Italia hanno messo e mettono i temi del cambiamento climatico al centro delle proprie riflessioni e dei propri orientamenti. Il blocco politico e sociale del 25 settembre vive, nel bene e nel male, incardinato nel presente e da questo posizionamento ne ricava, come abbiamo visto, una discreta forza. Quando il futuro riesce a scalare l’agenda delle priorità (prendiamo i convulsi avvenimenti di questi mesi tra guerra e bollette gonfiate) il centro-destra riesce a scindere il nesso, mette da parte ciò che verrà e costruisce “politica” sull’immediato magari giovandosi della capacità di individuare un avversario che faccia da capro espiatorio. Da qui il senso profondo dei risultati elettorali e anche una certa mappatura del consenso. Ma il dato delle urne pur così netto, pur così “presentista” risulta altrettanto decisivo nel determinare i successivi comportamenti sia della leadership sia delle sue constituency? Non è affatto detto.

Per quanto riguarda il nuovo governo, dovremo capire bene quali sono gli spazi di intervento che realisticamente avrà a disposizione. C’è infatti una doppia cornice che sembra premere/prevalere sugli orientamenti e sul colore politico degli inquilini di Palazzo Chigi, ovvero in politica il peso di Bruxelles e in economia la forza della triangolazione con Francia e Germania. Il riferimento al Pnrr è doveroso anche perché muta le caratteristiche di quel vincolo esterno di cui abbiamo abbondantemente parlato in altre stagioni: questa volta da Bruxelles l’indicazione non è quella di varare misure di austerity bensì di saper spendere. Può un governo di Roma sottrarsi a quest’impegno? La risposta è facile come è altrettanto semplice considerare che la grande e media industria del Nord non può sganciarsi dalle catene del valore tedesche e francesi perché lo pagherebbe in termini di drastico ridimensionamento. Le cornici, dunque, non si possono cambiare perché ne va del posizionamento geopolitico dell’Italia che risulterà pure in qualche caso ancillare (penso alle polemiche sul “capitalismo dei fornitori”) ma che non ha alternative credibili.

Nella vicenda dei vaccini la società ha trovato un giacimento di responsabilità al quale attingere e sul quale costruire una risposta collettiva. Qualcosa del genere è necessario replicarlo per la transizione energetica

Più complesso è il ragionamento sulla società italiana che mostra sovente una scissione tra comportamenti reali e propensioni elettorali. Prendiamo il caso straordinario delle vaccinazioni Covid: per un Paese individualista e a tratti anarchico come il nostro si poteva ipotizzare una percentuale molto bassa. E invece è successo il contrario, la società ha come trovato un giacimento di responsabilità al quale attingere e sul quale costruire una risposta collettiva che ha stupito i nostri interlocutori europei. Qualcosa del genere è necessario replicarlo in materia di transizione energetica. Le riserve di auto-organizzazione dal basso che l’Italia possiede sono ampie. E in definitiva sono una sorta di “secondo governo” del Paese. Finora in materia ambientale questa risorsa non si è dispiegata con la necessaria larghezza, è come se le parole-chiave della transizione non si fossero tradotte in indicazioni semplici da adottare. Ma l’inverno che ci aspetta con le limitazioni che dovremo apportare al nostro modo di consumare il gas possono rappresentare un’ottima occasione. Oportet ut scandala eveniant. E del resto la società italiana è più disposta ad “allenarsi” al cambiamento quando ciò avviene dal basso che quando viene indicato da leadership esterne. Ed è in questo modo che la società può avviarsi a far sua quella cultura del limite che dall’alto non si è mai riusciti a far passare ma che è necessaria per costruire responsabilità e best practises. Un percorso di questo tipo implica un coinvolgimento e un protagonismo di molti soggetti, dai rami bassi delle Istituzioni ai corpi intermedi e alla Chiesa. Il cambiamento all’italiana è fatto così, è una strada più lunga.